ROMA - Con la nota n. 18244 del 30 novembre scorso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha fornito importanti chiarimenti per gli enti del Terzo settore: i quesiti posti riguardavano gli ambiti dell’ordinamento e amministrazione degli Ets, dell’apporto del volontariato nelle organizzazioni di volontariato (Odv) e nelle associazioni di promozione sociale (Aps), e delle procedure di iscrizione al registro unico nazionale del Terzo settore (Runts).
Pur non rappresentando una fonte primaria nel nostro ordinamento, le circolari e le note della Direzione generale del Terzo settore hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo fondamentale nell’interpretazione delle disposizioni normative in materia, con l’obiettivo di favorirne un’applicazione il più possibile uniforme (e quindi non differenziata) sul territorio nazionale.
In questo primo contributo, ecco le risposte fornite in tema di apporto del volontariato nelle Odv e nelle Aps, della nozione di “lavoratore” ai fini del computo delle percentuali previste dalla legge e della possibilità per un’Odv di retribuire i propri associati.
I criteri di calcolo dei volontari e degli eventuali lavoratori nelle Odv e nelle Aps
Il Codice del Terzo settore identifica le organizzazioni di volontariato (Odv) e le associazioni di promozione sociale (Aps) come enti del Terzo settore che, per svolgere le attività di interesse generale (art.5 dello stesso Codice), devono avvalersi in modo prevalente dell’apporto volontario dei propri associati.
Sia per le Odv che per le Aps è comunque prevista la possibilità di avvalersi di lavoratori dipendenti, autonomi o anche di altra natura, qualora ciò sia funzionale in generale ad un migliore perseguimento delle proprie finalità istituzionali. Vengono però posti specifici limiti all’utilizzo di tali prestazioni lavorative: per le Odv il numero dei lavoratori eventualmente impiegati non può superare il 50% del numero dei volontari (art. 33, c. 1); per le Aps occorre rispettare lo stesso criterio appena menzionato oppure, in alternativa, quello per cui il numero dei lavoratori non può superare il 5% del numero degli associati (art. 36, c. 1).
In relazione alle menzionate disposizioni è stato richiesto se per il calcolo dei volontari si possa fare riferimento ad un criterio “per teste” (o capitario) e, inoltre, quali siano le tipologie di prestazioni lavorative che devono essere considerate nella nozione di “lavoratori”.
Con riferimento al primo quesito, il Ministero precisa anzitutto che il riferimento è rappresentato dai volontari iscritti nel registro dei volontari dell’ente oppure iscritti nei registri degli enti aderenti di cui l’ente effettivamente si avvalga. In relazione ad essi, si afferma che il criterio capitario è utilizzabile in primis perché la disposizione parla proprio del “numero” dei volontari (o, nel solo caso delle Aps, anche degli associati) in rapporto al “numero” dei lavoratori.
Il criterio di calcolo “per teste” consente, secondo la nota ministeriale, di tenere comunque conto dell’apporto di ogni volontario (pur nella consapevolezza che l’apporto di ciascuno sarà variabile vista l’assoluta libertà che caratterizza l’attività di volontariato), e di non gravare gli enti di eccessivi oneri amministrativi (dovendo magari, ad esempio, tenere traccia delle ore svolte dai volontari e di conseguenza quantificarle ai fini del calcolo).
Il Ministero evidenzia infine come l’utilizzo del criterio capitario ai fini del calcolo del rapporto percentuale tra i volontari e i lavoratori nelle Odv e nelle Aps non sia in contraddizione con il diverso criterio previsto sia per il calcolo dei costi dell’ente dal Decreto ministeriale 107 del 2021 in tema di attività diverse sia per il calcolo dei costi e proventi figurativi da poter inserire in bilancio secondo quanto disposto dal Decreto ministeriale 5 marzo 2020. In tali casi l’apporto del volontariato è calcolato moltiplicando le ore di volontariato effettivamente prestate con la retribuzione oraria lorda prevista per la corrispondente qualifica dai contratti collettivi. Secondo la nota ministeriale, il diverso e più gravoso onere amministrativo-contabile che deriva per gli enti utilizzando quest’ultimo criterio è giustificato in primis dal carattere facoltativo dell’inserimento dei costi e proventi figurativi in bilancio così come dallo svolgimento delle attività diverse; in secondo luogo, per quanto riguarda nello specifico le attività diverse, l’eventuale svolgimento delle stesse è soggetto a determinati limiti quantitativi, il rispetto dei quali deve essere accuratamente documentato.
In relazione al secondo quesito posto, il Ministero precisa che all’interno della nozione di “lavoratori impiegati nell’attività” vi rientrano solamente i lavoratori dipendenti e i parasubordinati, in ragione della maggior stabilità e continuità dei rapporti con l’associazione. Il riferimento è rappresentato dall’art. 8, c. 6, lett. r) del Decreto ministeriale 106 del 2020, che porta quindi a limitare il computo dei “lavoratori” ai soggetti dotati di posizione previdenziale (appunto dipendenti e parasubordinati), con esclusione quindi delle prestazioni di lavoro autonomo.
Un ulteriore chiarimento la nota ministeriale lo effettua in relazione ai lavoratori dipendenti che, pur avendo formalmente un rapporto di lavoro con l’associazione, si trovano in posizione di comando presso altro ente (i cosiddetti “comandati o distaccati out”), e a quelli che, al contrario, non hanno un formale rapporto di lavoro con l’ente ma svolgono di fatto la loro attività all’interno di esso contribuendo in maniera importante alla realizzazione delle attività di interesse generale (i cosiddetti “comandati o distaccati in”). Mentre i primi non devono essere conteggiati ai fini del computo delle soglie menzionate in precedenza (poiché svolgono di fatto la loro attività presso un altro ente), i secondi invece vi rientrano.
Il Ministero precisa ulteriormente che l’esclusione dei “comandati o distaccati out” sarà possibile solo se i comandi/distacchi in questione siano adeguatamente formalizzati, documentabili ed effettuati nel rispetto della legge: le verifiche circa il rispetto di tali condizioni potranno essere effettuate dagli uffici competenti del Runts non in sede di iscrizione o aggiornamento dei dati, bensì in fase di revisione periodica oltre che durante eventuali accertamenti d’ufficio.
Ricordiamo, infatti, che le Odv e le Aps sono tenute a comunicare al Runts il numero dei volontari di cui si avvalgono oltre che quello degli eventuali lavoratori dipendenti e parasubordinati: ciò sia in fase di iscrizione che di successivo aggiornamento dei dati entro il 30 giugno di ogni anno con riferimento al 31 dicembre precedente.
Proviamo quindi a fare un esempio concreto sulla base di quanto è emerso dalla nota ministeriale: un’Odv si avvale di 10 volontari (iscritti al relativo registro), di 3 lavoratori dipendenti e di 3 prestazioni di lavoro autonomo occasionale. Ai fini del computo previsto dalla legge, avendo l’ente 10 volontari potrebbe avvalersi al massimo di 5 lavoratori: sulla base dell’interpretazione ministeriale si vanno a conteggiare solamente i lavoratori dipendenti e quindi i “lavoratori” rilevanti ai fini del calcolo risultano essere 3, rispettando la proporzione prevista e permettendo così all’ente di mantenere la qualifica di Odv.
La possibilità per un’Odv di retribuire i propri associati
Con un diverso quesito è stato richiesto al Ministero se le Odv possano avvalersi di prestazioni lavorative retribuite svolte dai propri associati, nel rispetto dei limiti numerici evidenziati al paragrafo precedente oltre che del generale divieto posto dal Codice del Terzo settore in capo ai volontari di un Ets di svolgere al contempo anche attività retribuite all’interno dello stesso (art. 17, c. 5).
La posizione del richiedente, riportata brevemente nella nota ministeriale, era nel senso che le Odv potessero avvalersi di prestazioni di lavoro dei propri associati, e faceva perno su due argomentazioni principali. La prima è l’assenza nel Codice del Terzo settore di un espresso divieto per le Odv di retribuire i propri associati (cosa che invece era presente nella precedente Legge 266 del 1991), e quindi, sulla base del fondamentale principio di libertà sancito dalla nostra Costituzione, ciò che non è vietato dalla legge dovrebbe essere consentito. La seconda muove dalla presa d’atto che il Codice riconosce in effetti alle Aps la possibilità di avvalersi di prestazioni lavorative, anche dei propri associati (art. 36): laddove però si vietasse alle Odv tale facoltà sulla base di un’argomentazione “a contrario” porterebbe, secondo il richiedente, ad una situazione nella quale le Aps sarebbero di fatto gli unici enti del Terzo settore a poter retribuire i propri associati mentre tutti gli altri, Odv comprese, non lo potrebbero fare, generandosi in tal modo un’evidente ed ingiustificata disparità di trattamento.
Il Ministero non concorda con l’esito interpretativo proposto dal richiedente e pone alla base del proprio ragionamento il criterio interpretativo della logica sistemica del quadro normativo complessivo del Codice del Terzo settore, secondo il quale vi sono sicuramente degli elementi comuni a tutti gli enti che fanno parte del Terzo settore ma esistono anche delle differenziazioni specifiche tra le varie tipologie di Ets.
In particolare, le Odv e le Aps sono collocate in una particolare posizione rispetto agli altri Ets, differenziandosi per alcuni profili. Le due tipologie presentano elementi fra loro comuni, quali ad esempio la forma associativa, le limitazioni rispetto alle tipologie di enti che possono accedere alla base associativa, la necessaria prevalenza del volontariato e il limite al ricorso di prestazioni retribuite. Vi sono però altri elementi che le differenziano: nelle Odv il limite numerico riguarda solo il rapporto fra lavoratori e volontari mentre nelle Aps si può fare riferimento, in alternativa, anche a quello fra lavoratori e associati; le Odv svolgono le proprie attività di interesse generale prevalentemente a terzi mentre le Aps possono svolgerle indifferentemente nei confronti di propri associati, loro familiari o terzi; nelle Odv gli amministratori, scelti all’interno della base associativa, non possono essere retribuiti per la carica svolta, e per lo svolgimento delle attività di interesse generale le Odv possono ricevere solamente il rimborso delle spese sostenute e documentate, limitazioni che non si hanno per le Aps.
Dopo tale analisi, il Ministero rileva che la disposizione del Codice (art. 36) che consente alle Aps di concludere rapporti di lavoro con i propri associati non è presente nella corrispondente disciplina per le Odv (art. 33, c. 1): dato che il carattere speciale di una disposizione riguardante uno specifico ente non può essere estesa a soggetti diversi da quelli per cui essa è stata posta, secondo la nota ministeriale l’estensione alle Odv della facoltà (propria delle Aps) di retribuire i propri associati per prestazioni lavorative “risulta problematica”.
L’argomentazione continua affermando che se il legislatore avesse voluto prevedere la stessa disciplina sia per le Aps che per le Odv avrebbe potuto specificarlo oppure non dire niente per entrambe: avendolo consentito per le Aps e non dicendo nulla per le Odv, il Ministero considera non legittimo equiparare i due regimi e quindi non ammette la possibilità che le Odv possano retribuire i propri associati per l’attività lavorativa svolta.
La nota ministeriale conclude specificando che per gli altri enti del Terzo settore, non avendo il legislatore del Codice posto alcun vincolo alla possibilità di avvalersi di prestazioni retribuite, debba invece trovare spazio il generale principio di libertà e di autonomia degli enti, e quindi essi possano ricorrere alle prestazioni lavorative anche con riferimento ai propri associati.
* di Daniele Erler