ROMA - Articolo di approfondimento pubblicato su Welforum.it il 30 settembre 2024
L’art. 56, comma 1, del codice del Terzo settore recita: “Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, iscritte da almeno sei mesi nel Registro unico nazionale del Terzo settore, convenzioni finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale, se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato.”
Poiché perimetro di applicazione e funzione delle convenzioni disciplinate dall’art. 56, dlgs n. 117/2017 non risultano spesso chiare, specie nella scelta da parte delle Pa, sembra utile di seguito fornire alcuni spunti di riflessione, con l’auspicio che possano contribuire ad una migliore comprensione dello strumento specifico e delle sue implicazioni operative.
Le convenzioni, nella disciplina sul volontariato (legge 266/1991) e in quella riguardante le associazioni di promozione sociale (legge 383/2000) erano state individuate dal legislatore quale alternativa alla disciplina dei contratti pubblici, atteso che attraverso di esse si veniva a creare un regime speciale per quelle tipologie giuridiche non profit, caratterizzate entrambe dalla prevalenza dell’apporto del volontariato nel perseguimento di finalità di rilievo collettivo e nella realizzazione di attività di interesse generale che, in questo modo, venivano pienamente valorizzate.
Le convenzioni dovevano precisare, tra gli altri: a) le attività concretamente svolte; b) i metodi attraverso cui fossero effettivamente garantiti i diritti degli utenti collegati alle attività espletate (libertà religiosa, riservatezza, ecc.); c) i sistemi di controllo sulla qualità delle prestazioni rese dall’organizzazione; d) le modalità di rimborso delle spese.
Nel corso dei decenni, lo strumento della convenzione è stato oggetto di critiche, in specie da parte della giurisprudenza eurounitaria e da quella amministrativa nazionale. Le censure alla convenzione possono essere così riassunte:
- l’assenza di scopo di lucro non costituisce elemento sufficiente per sottrarre le attività svolte dalle organizzazioni non profit alle regole competitive di mercato;
- nonostante la loro natura di associazioni non lucrative, le organizzazioni di volontariato possono prendere parte alle procedure ad evidenza pubblica, alla stessa stregua degli altri operatori economici. Il reasoning dei giudici sul punto è quello che segue poiché tra le entrate delle organizzazioni di volontariato rientra(vano) anche le “entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali”, lo svolgimento di dette attività legittimerebbe l’organizzazione di volontariato a partecipare alle gare, in quanto la marginalità delle entrate non è presupposto sufficiente per escludere dalla gara le organizzazioni di volontariato, anche se queste ultime non risultano iscritte al registro delle imprese;
- gli aspetti di gratuità dell’associazione sono preminenti e devono sussistere in concreto, il che porta ad affermare l’assoluta incompatibilità della corresponsione di gettoni di presenza ai soci che ricoprano le cariche sociali e al personale volontario che presti la sua opera.
Anche per marcare il diverso paradigma (collaborativo) nell’ambito del quale collocare l’azione delle organizzazioni di volontariato e di promozione sociale rispetto a quello competitivo del codice degli appalti, il codice del Terzo settore ha inteso richiamare la convenzione quale strumento giuridico preferibile per disciplinare i rapporti di partnership tra enti del Terzo settore e pubbliche amministrazioni.
Tuttavia, sebbene l’art. 56 abbia ribadito la legittimità dello strumento giuridico della convenzione, atto negoziale non collocabile tra quelli di natura contrattuale, il legislatore ha avvertito l’esigenza di delimitare il perimetro di impiego della convenzione, di individuarne i requisiti e le condizioni e, infine, di motivarne adeguatamente la scelta.
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Iscrizione nel Runts
Le convenzioni ex art. 56, dlgs n. 117/2017 possono sottoscriversi soltanto con due specifiche tipologie di enti del Terzo settore, segnatamente, associazioni di volontariato e di promozione sociale, così come già invalso nelle due legislazioni speciali del 1991 e del 2000. La selezione di queste due tipologie giuridiche di enti del Terzo settore è “giustificata dal fatto che[esse] sono caratterizzat[e] ed accumunat[e] dal fatto di avvalersi in modo prevalente dell’attività dei volontari” (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Direzione generale del Terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese, nota del 4 giugno 2018, avente ad oggetto “Codice del Terzo settore. Coinvolgimento degli Enti del Terzo settore nei rapporti con gli enti pubblici.)”
Da ciò consegue che l’art. 56 impone una “scelta obbligata” alle pubbliche amministrazioni nella loro facoltà di decidere di ricorrere alle convenzioni di cui al codice del Terzo settore: queste ultime devono conformarsi alle condizioni e ai requisiti previsti dall’articolo in parola. Rimane ferma la possibilità per le pubbliche amministrazioni di stipulare convenzioni con altri soggetti non lucrativi nell’ambito dei principi generali dell’ordinamento.
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Attività oggetto delle convenzioni
Il legislatore ha inteso circoscrivere l’utilizzo delle convenzioni alla realizzazione a favore di terzi di attività e servizi sociali di interesse generale. Si tratta, pertanto, di attività non rivolte alla Pa procedente e, quindi, non configurabili alla stregua di attività strumentali alla stessa, come potrebbe essere un’attività di manutenzione del verde comunale da parte di una cooperativa sociale di tipo b). Le attività di interesse generale, si potrebbe affermare, sono naturaliter rivolte alla collettività e non alla Pa, a meno di ritenere (ancora) gli enti pubblici come gli unici interpreti del bene comune (cfr. a contrariis art. 2 Cost.). In questo modo, l’art. 56 conferma il necessario vincolo solidaristico che deve caratterizzare le convenzioni, anche al fine di escludere in re ipsa la riconducibilità al comparto della contrattualistica pubblica.
Deve, tuttavia, notarsi che la previsione in parola sembrerebbe escludere dalla possibilità di ricorrere allo strumento convenzionale per la disciplina di tutte le altre attività indicate nell’art. 5, come peraltro accadeva in vigenza delle disposizioni precedenti all’approvazione del codice del Terzo settore. Ad avviso di chi scrive, questa interpretazione non può essere accolta, non solo perché finirebbe per introdurre irragionevoli forme di discriminazione tra soggetti giuridici appartenenti allo stesso genus (rectius: enti del Terzo settore), ma anche perché non rispecchia la nozione di servizi sociali di interesse generale di matrice eurounitaria. Come è stato ampiamente argomentato, la nozione di “servizi sociali di interesse generale” non soltanto ammette un qualche grado di attività economico-imprenditoriale finalizzata alla realizzazione delle finalità pubbliche, ma abbraccia tutte le attività e i servizi il cui regime sia determinato dalla normativa dei singoli Stati membri nella prospettiva di garantire la protezione dei rischi della vita, la cui erogazione sia ritenuta indispensabile e, infine, che risultino erogati secondo meccanismi di solidarietà, nell’ambito dei quali è assente la dimensione sinallagmatica dei rapporti ed è, per contro, dirimente la gratuità degli stessi.
Ne consegue che gli enti pubblici sono chiamati a valutare con attenzione la componente “sociale” dell’attività oggetto della possibile convenzione (cultura, sport, per citare due esempi), avendo cura di esporre con chiarezza la motivazione richiesta.
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Valutazioni comparative
L’art. 56 del codice del Terzo settore prevede che le pubbliche amministrazioni individuino l’associazione di volontariato ovvero di promozione sociale con la quale sottoscrivere la convenzione soltanto ad esito di procedura valutativa di natura comparativa tra le medesime associazioni, nel rispetto dei principi di imparzialità, pubblicità, trasparenza, partecipazione e parità di trattamento. Il comma 3-bis del medesimo articolo 56 dispone che le amministrazioni procedenti devono pubblicare sui propri siti informatici gli atti di indizione dei procedimenti in parola e i relativi provvedimenti finali. I medesimi atti devono altresì formare oggetto di pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti nella sezione "Amministrazione trasparente", con l'applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. La selezione è condotta ad esito della valutazione dei requisiti di moralità professionale e di adeguata attitudine che le associazioni di volontariato e di promozione sociale devono possedere e che devono essere rapportate alla struttura, all'attività concretamente svolta, alle finalità perseguite, al numero degli aderenti, alle risorse a disposizione e alla capacità tecnica e professionale, intesa come concreta capacità di operare e realizzare l'attività oggetto di convenzione, da valutarsi anche con riferimento all'esperienza maturata, all'organizzazione, alla formazione e all'aggiornamento dei volontari.
È di tutta evidenza che la valutazione comparativa cui sono chiamate le pubbliche amministrazioni si fonda su criteri oggetti e parametri affatto marginali, atteso che – come si è avuto modo di ricordare poc’anzi – le organizzazioni ammesse al convenzionamento devono assicurare l’organizzazione, la gestione e l’erogazione di interventi, prestazioni, attività e servizi caratterizzati da continuità, affidabilità, serietà e qualità.
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La scelta della convenzione rispetto ad altre modalità di affidamento
L’art. 56 subordina la possibilità di utilizzare le convenzioni ad una scelta discrezionale delle pubbliche amministrazioni, che hanno l’obbligo di dimostrare che lo strumento “convenzione” risulta “più favorevole rispetto al ricorso al mercato”. Molte pubbliche amministrazioni richiamano, al riguardo, la valorizzazione dei corpi intermedi secondo il principio di sussidiarietà quale “ragione” fondante la scelta da operare. Affinché, tuttavia, questo principio non sia richiamato in forma apodittica e scontata, le pubbliche amministrazioni possono, anche alla luce delle esperienze pregresse maturate nei rapporti con i soggetti non lucrativi di un determinato territorio, far emergere i benefici che la convenzione è in grado di assicurare all’azione pubblica tour court. Al riguardo, si ritiene opportuno segnalare che la convenienza dello strumento della convenzione rispetto al ricorso al mercato involge una valutazione in ordine alla capacità dello strumento convenzionale di incrementare, per esempio, i legami di solidarietà sul territorio, la coesione sociale o la partecipazione di una certa utenza alla gestione di un’attività/un servizio.
Il giudizio di adeguatezza contempla, naturalmente, anche una valutazione in ordine alla convenienza economica dell’opzione a favore delle convenzioni, ma siffatta valutazione non può e non deve essere confusa con una verifica di maggior risparmio della spesa pubblica.
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L’esclusivo rimborso delle spese
Il comma 2 dell’art. 56 stabilisce che “Le convenzioni di cui al comma 1 possono prevedere esclusivamente il rimborso alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale delle spese effettivamente sostenute e documentate.”
Il rimborso delle spese in oggetto é commisurato ai costi effettivamente sostenuti e documentati che, escludendo la remunerazione di tutti i fattori della produzione, nega l’onerosità della prestazione e, conseguentemente, identifica un contesto di servizio di interesse generale non economico, che, come tale, è dunque estraneo alla disciplina degli appalti pubblici. In ordine ai rapporti finanziari intercorrenti tra pubbliche amministrazioni e associazionismo, le convenzioni individuano “i criteri di ammissibilità delle spese rimborsabili (tra le quali devono necessariamente figurare quelle relative alla copertura assicurativa dei volontari)” e, proprio in ragione del principio dell’effettività della spesa rimborsabile, “viene ammesso il riconoscimento in quota parte dei costi indiretti, secondo il criterio della loro diretta riconducibilità all’attività oggetto della convenzione”. Così, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nota del 4 giugno 2018, cit. Deve rilevarsi come proprio la rimborsabilità dei costi relativi all’attivazione dell’assicurazione obbligatoria per i volontari e il riconoscimento dei costi indiretti sono stati considerati elementi di criticità da parte del Consiglio di Stato (cfr. Commissione speciale, 20 agosto 2018, cit.), che li ha interpretati alla stregua di indici che non permetterebbero di ritenere le convenzioni del tutto estranee alle logiche competitive.
In questo senso, coerentemente con la ratio della norma e in ragione delle attività da svolgere, che spesso richiedono continuità e affidabilità, ragionevolmente, le pubbliche amministrazioni potrebbero decidere di non imputare i costi con meccanismi di forfettizzazione (es. una percentuale fissa sui costi diretti), ma valutare meccanismi pro quota, che, in considerazione della documentazione dei costi indiretti sostenuti, rapportino l’attività in essere con il complesso delle attività svolte.
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Un confronto tra convenzioni e affidamenti diretti
I criteri e i parametri di selezione delle associazioni, nonché le clausole da versare all’interno delle convenzioni possono, prima facie, far ritenere le convenzioni ex art. 56 assimilabili ad un affidamento (diretto) di servizi disciplinato dal codice dei contratti pubblici. Dell’affidamento diretto la convenzione, infatti, richiama – inter alia - la necessità di rispettare gli obblighi di servizio, l’indicazione della durata del rapporto giuridico, la disciplina dei rapporti finanziari, le forme di verifica delle prestazioni erogate e il controllo della loro qualità, nonché la verifica dei reciproci adempimenti.
Dall’affidamento di un servizio, tuttavia, la convenzione si differenzia per un elemento fondante e discriminante, segnatamente, l’assenza di onerosità del rapporto giuridico, per il quale l’ente pubblico può riconoscere all’associazione di volontariato o di promozione sociale soltanto il rimborso delle spese. Si tratta di una previsione che trova la propria ratio iuris nella qualificazione giuridica delle organizzazioni di volontariato e di promozione sociale che, fondando il proprio operato esclusivamente o, comunque, in via prevalente sull’apporto dei volontari, che per sua stessa natura è gratuita e senza scopo di lucro, esclude, almeno in linea teorica, qualsiasi riconducibilità ad attività di carattere economico-imprenditoriale.
La non riconducibilità è peraltro suffragata dalla motivazione che – come si è sopra richiamato – è conditio sine qua non per procedere con il convenzionamento con le Odv o Aps. In quest’ottica, è dunque possibile affermare che la convenzione non è più (soltanto) lo strumento giuridico legittimato dal rimborso delle spese e quindi dalla non onerosità, ma la sottoscrizione di rapporti giuridici di natura non corrispettiva con le associazioni di volontariato e di promozione sociale deve risultare adeguatamente motivato dalla pubblica amministrazione procedente. Si tratta, infatti, di una motivazione che deve riguardare la scelta dello strumento convenzionale in luogo di quello concorsuale competitivo e non la comparazione economica (rectius: il risparmio) tra l’offerta che il mercato sarebbe in grado di avanzare e il costo delle prestazioni sopportato dagli enti del terzo settore.
L’art. 56, comma 1 individua, dunque, il discrimen tra istituti giuridici cooperativi e procedure competitive: la pubblica amministrazione deve dimostrare che per conseguire le finalità di interesse generale e gli obiettivi di solidarietà cui gli enti pubblici sono vincolati la convenzione deve considerarsi più adeguata rispetto alle procedure di gara.
Convenzioni o co-progettazione?
Anche alla luce delle esperienze maturate in alcuni territori, sembra opportuno richiamare la specificità dello strumento convenzionale rispetto alla procedura di cui all’art. 55. Sebbene i due strumenti siano stati “disegnati” e siano riconducibili in un disegno unitario di relazioni non competitive tra Pa ed Ets, la convenzione e la co-progettazione rispondono a due diverse “filosofie” di intervento, che, qui, per ragioni di spazio e di brevità, verranno soltanto accennate. La co-progettazione intende realizzare un progetto (definitivo), in vista del quale Pa ed Ets (comprese le Odv e le Aps) condividono, tra l’altro, obiettivi, quadro economico, modalità di esecuzione e di rendicontazione dei costi sostenuti, termini di supervisione e valutazione dei risultati. La convenzione, invece, che è circoscritta soltanto a due tipologie di Ets, consta di un oggetto (l’attività da realizzare) che risulta, di regola, predeterminato dalle pubbliche amministrazioni e dall’impegno sottoscritto dalle associazioni qualificate di realizzare quelle attività in conformità alle condizioni e ai termini fissati nell’art. 56.
Breve riflessione conclusiva
Nel “cassetto degli attrezzi” che le pubbliche amministrazioni hanno a disposizione per attivare rapporti collaborativi con gli enti del Terzo settore la convenzione ex art. 56 rappresenta una modalità che, seppure invalsa da decenni nell’ordinamento giuridico, merita particolare attenzione qualora le pubbliche amministrazioni decidano di ricorrere a questa formula di partenariato con gli Ets. Facoltà e non obbligo, motivazione a sostegno della scelta, modalità di rimborso e rendicontazione delle spese, attività da realizzare, obblighi delle associazioni selezionate e meccanismi di controllo/verifica sono tutti elementi che vanno attentamente ponderati.
*DI Alceste Santuari