MILANO - Se lo vivi poi resta. Entra dentro così tanto che il suo ricordo persiste anche a distanza di anni. La voglia di fare volontariato non va più via, tanta è il piacere che sprigiona in chi ci è passato. Lo raccontano le storie di persone ex volontarie che abbiamo raccolto, con l’intento di gettare uno sguardo nelle statistiche del nuovo censimento Istat, la più recente fotografia sullo stato del non profit. E di dare corpo e voce a quei numeri che indicano, al 2021, un brusco calo della partecipazione dei volontari nella società italiana: meno 900mila persone, una flessione del 15% rispetto al 2015 quando i volontari nelle istituzioni non profit erano 5,528 milioni, mentre alla conta del 2021 sono risultati 4,661. Numeri importanti, su cui di certo impatta il trascorso periodo pandemico, quando in molti sono stati letteralmente costretti a smettere con la vita di comunità del volontariato.
Al di là della statistica Istat, è importante comunque ripartire dalle storie, perché queste ci testimoniano come, nonostante le flessioni, la forza del volontariato soffi più forte che mai nella società italiana, trasversalmente, in ogni campo. C’è chi negli ultimi anni ha smesso per mancanza di tempo, chi per problemi familiari, chi ha deciso di dedicarsi a forme di volontariato senza coprire più ruoli di coordinamento apicale e si è dedicato invece ad azioni civiche di prossimità. Chi in qualche modo nel volontariato è cresciuto, si è qualificato, fino a poi farne una strada d’ingresso nel mondo del lavoro. Il quadro è frastagliato, anzi caleidoscopico, ogni storia è a sé, ma tutte hanno una nota comune, che ritorna in un leitmotiv, di intervista in intervista: la voglia di volontariato è sempre viva, in chi ha dovuto smettere. E ognuno interpreta il proprio fermo come una pausa, che è tutt’altro d’ un addio, perché il volontariato ci ha portato in territori altrimenti inesplorati.
Matteo Venturini è fra chi ha dovuto smettere o anzi meglio interrompere il suo impegno per motivi di tempo, per questioni personali che lo stanno particolarmente assorbendo. Ma il ricordo dei suoi anni con Mario, la persona da lui accompagnata come volontario, riverbera. Racconta Matteo di aver iniziato la sua esperienza nel 2018, in un momento particolare della sua vita. “Avevo bisogno di dedicarmi alle persone. Ero appena uscito di casa”. A indirizzarlo all’Aism – Associazione Italiana Sclerosi Multipla di Milano è stato il CSV Milano. “Giuseppe Saponara, l’operatore di sportello, tra le varie opzioni a un certo punto mi ha presentato la possibilità di poter tenere compagnia, una volta a settimana, a una persona affetta da sclerosi multipla”. È come scattato un clic: “Ho sentito che era ciò che cercavo” e così è iniziato tutto.
Per quattro anni Matteo è andato a trovare a casa Mario ogni sabato, da volontario Aism, munito di relativa assicurazione. “Le mie erano visite fatte di lunghe chiacchierate, di compagnia reciproca, di qualche passeggiata, di confronti sulle più disparate esperienze e riflessioni sul lavoro, amicizia, relazioni”. Racconta Matteo di aver conosciuto in quelle ore un uomo “eccezionale”, dalla sensibilità straordinaria. Capace di capire le persone al primo sguardo e ascoltarle nel profondo. “È un imprenditore che è riuscito a creare tanto, che ha attraversato tante fasi, che si è sempre rialzato”. Il signor Mario si è ammalato di sclerosi multipla a 40 anni, in una forma non acuta che però gli portava problemi di deambulazione e di autonomia nel fare movimenti. “Il nostro rapporto si è trasformato in uno scambio, in un momento di amicizia, d’incontro. Ho conosciuto sua moglie e la sua famiglia, si è creata una sintonia intima, profonda, molto bella”. Nella fase acuta della pandemia gli incontri sono continuati al telefono, poi sono ripresi un paio di volte la settimana. Ora per impegni familiari Matteo Venturini ha dovuto sospendere. “Non riuscivo più a garantire quella continuità di cui Mario aveva bisogno”. Questo tipo di servizio richiede presenza, costanza, stabilità. Il suo ruolo ora è coperto da una nuova giovane volontaria, Matteo però non ha smesso di sentire Mario, di cercarlo, di andarlo a trovare quando ha tempo.
Da Milano ora ci spostiamo in Centro Italia, per conoscere un’altra storia, quella di Lucia. Il nome, come da lei richiesto, è di fantasia così come sfumati sono i riferimenti che daremo sull’associazione dove la giovane donna ha preso parte, un gruppo attivo in un quartiere considerato difficile. “Fanno un gran lavoro, non vorrei che la mia testimonianza d’esperienza negativa possa sminuirne l’operato”.
Purtroppo Lucia è rimasta un po’ delusa perché c’è stata della disorganizzazione e il tempo da lei donato non ha trovato la giusta valorizzazione. “Sono mancati dei coordinatori, qualcuno che tenesse il punto della situazione”, a un certo punto arrivavano più bambini di quanti se ne riuscissero a gestire e anche convocare una riunione di coordinamento era complesso. “Forse, prima di intraprendere la nuova avventura del doposcuola, l’associazione avrebbe dovuto aspettare e capire meglio risorse e obiettivi realizzabili. Temo che per andare veloci si siano sprecate delle possibilità”, spiega Lucia. Così dopo qualche mese, quando il servizio si era fatto un po’ troppo caotico, la convinzione è scemata e hanno prevalso altri impegni e il lavoro. “Peccato, perché con un maggiore coordinamento noi volontari saremmo stati più coinvolti”. E aggiunge: “In passato mi ero già resa attiva in un doposcuola. Era un progetto gestito da figure preposte a coordinare i volontari come me, e le cose erano andate benone”. Quelli di Lucia sono consigli piuttosto che rimproveri, anche perché l’associazione che ha lasciato è giovane e piena di risorse. E anche per Lucia la stagione del volontariato non è finita. “Tornerò, certo, a dare il mio contributo. Mi piace molto”.
*di Marco Benedettelli