ANCONA - Nell’inverno della pandemia i posti nei centri d’accoglienza per senza dimora si sono ridotti a un terzo. Nelle Marche oggi sono disponibili appena una cinquantina di letti; lo scorso anno erano 157. Per il sempre più vasto popolo degli “invisibili” non c’è quasi scampo. La prospettiva per la nottata è un angolo di strada o un edificio abbandonato. I centri rimasti aperti in regione sono 3 su 10 totali: quelli di Jesi e Senigallia gestiti dalla Caritas e la struttura di pronta accoglienza dei servizi sociali di Ancona. Laddove si è potuto, come a Fano e a Falconara Marittima, grazie a fondi privati o ai contributi delle amministrazioni si sono presi in affitto locali, stabilito collaborazioni con alberghi.
La lunga notte dei senza dimora è nel volto di E., arrivato dal Gambia, trovato rannicchiato tra lo smog lungo una strada in centro, confuso, occhi ingialliti per lo sfinimento, senza documenti, arrivato chissà da dove, probabilmente aggrappato a un tir. O nella storia di S., di origine albanese, 74 anni: chi l’ospitava ha cambiato città e l’ha fatto uscire di casa. Ora lui non sa come fare. Da pochi giorni vive in strada.
La stragrande maggioranza dei senza dimora si concentra sulla costa, il 93% secondo i dati Caritas tra Ancona e Falconara Marittima, meno di 130mila abitanti in due Comuni, una settantina di persone vivono all’addiaccio, oltre alle 30 accolte nell’albergo Cantiani di Ancona, dove l’attesa per entrare è sui dieci giorni e si può restare al massimo due settimane. Quello dei senzatetto è in questa terra un popolo composto per due terzi da stranieri: immigrati arrivati decenni fa, che hanno perso il lavoro e – privi di rete familiare – sono finiti in strada, ovvero migranti appena sbarcati, senza documenti o in attesa del colloquio per la richiesta di protezione internazionale. Quanto agli italiani, tantissimi dal Sud, si tratta di persone che hanno perso casa e famiglia e vagano nella Penisola.