ROMA - Le Regioni e gli enti locali stanno divenendo un interessante laboratorio di sperimentazione di nuove soluzioni per l’attuazione della riforma del Terzo settore e, in particolare, dell’amministrazione condivisa. Ultima in ordine di tempo – dopo la Regione Toscana e la Regione Molise – la Regione Umbria, che ha approvato la legge regionale 6 marzo 2023, n. 2, “Disposizioni in materia di amministrazione condivisa”. Si tratta di un intervento normativo che intende declinare, nel livello regionale, le novità dell’art. 55 del codice del Terzo settore, offrendo agli attori pubblici e del Terzo settore dell’Umbria un quadro di principi e di regole comuni per potersi orientare e dare consistenza ai procedimenti di co-programmazione e co-progettazione. Significativo, sul piano politico, è che l’approvazione sia avvenuta, sostanzialmente, con l’appoggio di maggioranza ed opposizioni consiliari.
La Regione Umbria ha potuto giovarsi dei contributi provenienti dall’esperienza pioneristica della Toscana (lr 65/2020), del portato della sentenza n. 131/2020 della Corte costituzionale, delle linee guida nazionali (dm 72/2021) e delle modifiche del 2020 al Codice dei contratti pubblici. L’approccio prescelto è stato quello di introdurre una disciplina a carattere trasversale al fine di assicurare il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore (Ets) in tutti i settori di attività di interesse generale di competenza regionale (art. 1, cc.4-5). Si può quindi affermare che la legge n. 2/2023 innovi l’intero ordinamento regionale, offrendo – nelle singole politiche regionali – uno strumento in più per l’esercizio delle funzioni amministrative, che non elimina quelli già sperimentati, ma li arricchisce. La legge – è bene notarlo – si applica sia all’amministrazione regionale ed agli enti dipendenti dalla Regione, sia agli enti locali, singoli ed associati, nonché alle cosiddette ex-Ipab (art. 2, c.2, lett. b) e c)).
A ben vedere, non si tratta di una semplice aggiunta, ma di una vera e propria indicazione di priorità: l’art. 1, c.5, infatti, riconosce uno specifico valore alla collaborazione fra pubblica amministrazione ed enti del Terzo settore, sostenendo la libera iniziativa del Terzo settore. E, all’art. 4, si aggiunge che la Regione e gli enti locali dell’Umbria favoriscono questa modalità di esercizio delle funzioni amministrative, laddove ciò sia possibile. Non si tratta, quindi, di una legge neutrale – per così dire – che si limita a riconoscere che le amministrazioni sono poste davanti ad un bivio – Codice dei contratti pubblici o codice del Terzo settore (come afferma chiaramente l’art. 3 della lr) – ma si afferma che l’amministrazione condivisa esprime, già come processo che si innesca (ancora prima del risultato), un “valore” che si inscrive nel patrimonio identitario della Regione. Cosicché, la scelta di non perseguire, negli ambiti di attività di interesse generale, una di queste vie di condivisione, dovrebbe trovare delle motivazioni – politiche e giuridiche – assai solide. Ciò significa prendere sul serio il principio di sussidiarietà orizzontale, così come declinato dall’art. 55 del codice del Terzo settore in termini di “coinvolgimento attivo” degli enti del Terzo settore da parte della pubblica amministrazione (ad esempio la Regione Toscana introduce un obbligo di motivazione nel caso in cui non si proceda a co-programmare: art. 9, c.1 lr: 65/2020).
Ciò significa prendere sul serio il principio di sussidiarietà orizzontale, così come declinato dall’art. 55 CTS in termini di “coinvolgimento attivo” degli enti del Terzo settore da parte della P.A. (ad es., la Regione Toscana introduce un obbligo di motivazione nel caso in cui non si proceda a co-programmare: art. 9, c.1 L.R: 65/2020).
In effetti, uno degli elementi più interessanti della legislazione umbra è rappresentato – al di là della disciplina procedimentale – dalla previsione, nel Capo VI, di misure di sostegno per l’implementazione del modello amministrazione condivisa, attraverso l’accesso degli Ets a determinare risorse, specifiche misure premiali, accordi di collaborazione istituzionali (con fondazioni di origine bancaria, Centri di servizio per il volontariato, Forum del Terzo settore, reti associative, ecc.), la messa in condivisione di risorse pubbliche (ad es., beni immobili pubblici inutilizzati). Da questo punto di vista, le legge dell’Umbria compie un primo passaggio da una dimensione propriamente regolatoria – come si struttura il procedimento amministrativo – all’apertura di una prospettiva promozionale – come si sostengono le pubbliche amministrazioni e gli Ets che scelgono di imboccare questa modalità di relazione collaborativa. Il set di strumenti che potrà essere messo a disposizione è aperto alle risultanze della prassi.
Per questo, infatti, il Consiglio regionale ha inserito una clausola valutativa (art. 20), che richiede alla Giunta di trasmettere, a cadenza annuale, una relazione concernente le iniziative di amministrazione condivisa, gli accordi di collaborazione conclusi, le valutazioni di impatto sociale avviate o concluse. L’auspicio è che non si tratti di una relazione di rito, ma che divenga un documento sul quale tutti gli attori – pubblici e del Terzo settore – possano aprire una riflessione, identificando le azioni di miglioramento da realizzare.
Questa attenzione ai risultati che l’amministrazione condivisa realizza nel territorio regionale è confermata dall’indicazione legislativa all’utilizzo degli strumenti di misurazione dell’impatto sociale, quale contenuto generale di ogni avviso di co-programmazione e co-progettazione (con obbligo di motivazione del mancato utilizzo: art. 5, c. 1, lett. e)). Ciò non risolve – come è evidente – le questioni relative al metodo o ai metodi da utilizzare, nel rispetto delle linee guida nazionali sul tema, ma pone ai tavoli che si apriranno il tema come prioritario.
I Capi III, IV e V della legge affrontano le questioni procedimentali, relative a co-programmazione, co-progettazione e accreditamento (quest’ultimo non disciplinato dei precedenti toscano e molisano). Non è possibile ripercorrere integralmente la disciplina, ma meritano di essere sottolineati alcuni aspetti. In primo luogo, si dà attuazione a quanto previsto dal dm 72/2021 disciplinando l’attivazione del procedimento dal lato del Terzo settore (art. 8, c.1, lett c), in tema di co-programmazione e art. 12, c.1, lett. c), in tema di co-progettazione. Secondariamente, si identificano le modalità con le quali sono selezionati gli enti con i quali avviare la collaborazione (evidenza pubblica, elenchi aperti). Inoltre, si dettaglia la conclusione del procedimento (art. 9 per la co-programmazione e art. 12 per la co-progettazione). Il significato giuridico di questa parte della disciplina umbra – come già per quella della Toscana – supera probabilmente i confini della Regione. Infatti, gli interventi di Regioni ed enti locali stanno integrando i contenuti della legislazione nazionale e delle Linee guida (dm 72/2021), arricchendo la riflessione e l’interpretazione, ponendo questioni nuove e offrendo delle soluzioni interessanti.
Vi è come una “circolarità” normativa che si è aperta: le norme nazionali indicano il perimetro entro il quale Regioni ed enti locali possono muoversi; Regioni ed enti locali “illuminano” le norme nazionali, disvelandone aspetti, potenzialità e criticità inespresse. Le leggi regionali richiamate, infatti, hanno posto una serie di questioni e condizionano, oggi, ad esempio, il dibattito sulla revisione del Codice dei contratti pubblici. Il diritto dell’amministrazione condivisa, così come specificamente declinato dal codice del Terzo settore, sta sorgendo da questa dialettica estremamente interessante fra gli atti normativi e la prassi dei diversi livelli di governo. L’osservazione di ciò che avverrà in altre Regioni (a partire dall’Emilia-Romagna, che ha già una proposta di legge presentata in Consiglio regionale), pertanto, è uno dei campi di ricerca che più dovremo coltivare nei prossimi mesi ed anni.
*di Lica Gori - Scuola Superiore Sant’Anna, Centro di ricerca Maria Eletta Martini
** L’autore, per dovere di onestà intellettuale, deve dichiarare al lettore di aver fatto parte di un gruppo di esperti che ha concorso alla scrittura di una prima proposta di legislazione per la Regione Umbria, che è stata sottoposta alla Giunta regionale e poi, successivamente, al Consiglio regionale.