MILANO - Ogni vita ha il suo percorso, la sua unicità. È sulla rotta di questa stella maris che le agenzie per la vita indipendente lavorano per il diritto all’autonomia. Formate in buona parte da persone disabili, o con il loro attivo coinvolgimento, queste realtà associative si stanno moltiplicando e organizzando in buona parte d’Italia, destreggiandosi in territori dove servizi, risorse, normative sono sempre più frastagliate per le persone disabili e il percorso verso il raggiungimento dell’autonomia è una battaglia oltre che culturale, burocratica, dove conta tanto in che posto si è nati.
Le agenzie per la vita indipendente, le Avi si stanno radicando da circa un decennio, nate dove il tessuto innovativo negli anni si è impegnato in progettualità sperimentali per la vita autonoma. Oggi si trovano a Roma e nel Lazio, a Milano e in Lombardia, nelle Marche, in Umbria, in Abruzzo, in Friuli. E altre sono sul punto di nascere. Si tratta di realtà costituite in aps, che prestano in forma gratuita servizi per accogliere, ascoltare e accompagnare le persone con disabilità nella progettazione dei propri percorsi di vita autonoma.
Che sia un supporto per la ricerca di un assistente personale o per la gestione del rapporto professionale con questo, che sia una consulenza sulla stipulazione di un contratto con il proprio datore di lavoro secondo le norme sulla disabilità, o sulla ricerca di una soluzione abitativa adeguata o di accompagno per una specifica attività, l’agenzia propone indicazioni e servizi attraverso i propri sportelli. A presidiarli è personale specializzato, che conta anche i consulenti alla pari, ovvero persone a loro volta disabili, chiamate –come volontari o a contratto– a dare conforto e consiglio ad altre persone disabili, alla luce del proprio vissuto.
Non solo, le agenzie si rivolgono anche al mondo dei non disabili e informano, formano, fanno advocacy con le istruzioni e la società civile per l’affermazione della vita autonoma, in un lavoro sempre più riconosciuto, che produce fermento e che le sta portando a espandersi. Nel Lazio, ad agosto la Regione ha stanziato nel complesso 970 mila euro per avviare, in maniera omogenea su tutto il territorio, otto nuove Agenzie per la vita indipendente, individuate con l’approvazione della graduatoria.
“Prevediamo di strutturarci in un lavoro di rete, così da potenziare le nostre capacità” –commenta Dino Barlaam, presidente dell’Agenzia per la vita indipendente Onlus di Roma, la prima, nel 2003, a essersi costituita in Italia e che grazie alla sua esperienza ventennale è punto di riferimento per altre Avi della Penisola. Gli sportelli di Roma oggi supportano circa mille persone nella gestione dei propri contratti con l’assistente personale, oltre a curare tanti progetti diversificati secondo un approccio poliedrico che si rivolge a tutta l’area della non auto sufficienza, sia per la disabilità fisica che socio cognitiva. Analogo sviluppo sta attraversando la Lombardia, dove lo scorso settembre, insieme alle associazioni Ledha Milano e Ledha Lombardia, la giunta regionale ha approvato le prime disposizioni relative all’avvio dei Centri per la vita indipendente L’obiettivo è di attivarne almeno trentatré in concorso con tutti gli Ambiti territoriali aderenti al Pro.Vi, i progetti di Vita Indipendente sostenuti dal Fna – Fondo nazionale per le non auto sufficienze. Le linee guida sono già tracciate. A fare rete con le nuove realtà sarà l’Agenzia per la vita indipendente Fulvio Santagostini, che si è costituita nel 2014 ma che è già attiva dal 2009 con le prime sperimentazioni dei centri per la vita indipendente.
“Sportelli e percorsi di accompagnamento sono in arrivo, guideranno istituzioni e persone in tutte le fasi per il rafforzamento della propria autonomia” –spiega Marco Rasconi, consigliere dell’Agenzia per la vita indipendente di Milano e presidente della Uildm nazionale– “Aprire nuove agenzie vuol dire esportare il lavoro in tutta la regione, in modo da essere sempre più vicini. Si potrà così fornire informazioni alle persone con disabilità, renderle sempre più consapevoli che il progetto di vita indipendente si può fare e che ci sono strumenti per farlo. Ci sarò modo di accogliere e accompagnare ognuno in percorsi personalizzati”. Per attivare i nuovi trentatré centri saranno coinvolte realtà associative e cooperative, in modo da mettere in rete le risposte secondo le più variegate necessità. C’è chi ha bisogno di momenti di sollievo, chi di accompagno per andare al lavoro o per accedere alle abitazioni. “Le combinazioni possibili sono svariate. E più si è calati nel territorio, più si riesce a usare reti e risorse che già che ci sono”.
Oltre agli esempi più dinamici e in divenire però, se si allarga lo sguardo non è difficile imbattersi su criticità, assenze, mancanze di servizi. La cultura della vita autonoma non si è ancora radicata ovunque, specialmente al Sud permane un retaggio culturale che vede nell’affido familiare l’unica o almeno la più realizzabile forma di caregiving. E poi c’è il tema delle leggi, dei decreti, delle normative e dei finanziamenti. In Italia la situazione è estremamente variabile e frammentata, regione per regione o addirittura provincia per provincia e più i centri sono piccoli e periferici, più languiscono i fondi e con essi il concretizzarsi dei servizi. Così che ogni territorio finisce per essere un mondo a sé.
La disabilità si finanzia con il Fna, che ha una ricaduta sul bando Pro.Vi, poi ci sono i fondi delle Regioni per gravi e gravissimi, con la possibilità da parte dei Comuni di aggiungere risorse, alcuni bilanci regionali, inoltre, prevedono gli assegni di cura. Ma quando l’analisi si sofferma sui singoli territori, allora è un attimo rendersi conto che a sperimentazioni più avanzate si alternano disservizi. Soprattutto perché, spiegano gli operatori intervistati, occorre una legge nazionale capace di dare linee guida chiare e univoche in tutta la nazione, così che non ci siano più situazioni a macchia di leopardo e i centri metropolitani si ritrovino a essere più avanzati rispetto alle periferie, agli ambiti territoriali più piccoli o ai Comuni del Sud Italia dove dove a complicare la situazione è anche la lungaggine dei tempi d’assegnazione delle risorse, così estenuante che molte persone sono costrette a rinunciare al percorso di autonomia e a rimanere assistite dalla famiglia.
Nel Lazio, ad esempio, la situazione è completamente diversa da ciò che accade a Roma e ciò che avviene fuori. Come spiega Dino Barlaam, quella della capitale è un’area metropolitana che conta su un proprio bilancio e i fondi che si spendono per l’assistenza, sia domiciliare con le cooperative, sia per l’assistenza autogestita, arrivano per circa il 90 per cento dal proprio bilancio comunale, irrobustito delle Imu e delle tassazioni di una grande città. D’altro canto, le Province nel Lazio vivono principalmente di trasferimenti da parte della Regione e dello Stato, con somme più esigue e irrisorie che, oltretutto, hanno tempi di trasferimento, anche qui, molto lunghi e procedure farraginose.
Spiega Dino Barlaam: “Dove i comuni e gli ambiti territoriali sono più piccoli e le risorse languono, le risposte puntano sui centri residenziali perché non ci si può permettere la progettazione di percorsi personali. E i centri non sono spazi propriamente affini all’ideale della vita indipendente, in quanto luoghi che custodiscono più che creare interazione con la società attorno”.
Lo stesso divario fra grande città e provincia torna al Nord. “Tra Milano e l’hinterland cambia il mondo, per disponibilità di strumenti che servono a sostenere i progetti di vita indipendente” –racconta Marco Rasconi– “Spesso arrivo a fare consulenza in Comuni dove prima il tema non è stato mai trattato, nonostante la sua importanza. A me piacerebbe tantissimo, anche come presidente Uildm, che non ci siano divari, che non sia la fortuna del luogo dove si nasce a fare la differenza. Ci sono persone disabili che si trasferiscono per raggiungere migliori progettualità e ciò è inammissibile.
La normativa deve garantire almeno un nucleo di pari opportunità per tutti, ovunque”. E al contempo vanno ammorbiditi certi retaggi culturali. Perché nei regolamenti regionali dei progetti di vita indipendente il fulcro di ogni percorso resta l’assistente personale, ovvero quella figura che accompagna la persona disabile nelle azioni dove non si è autosufficienti e che in Italia è ancora priva di un contratto di lavoro o di una formazione specifica, mentre l’autonomia non si raggiunge solo con l’assistente personale, più adatto alle disabilità motorie, ma con una messa a sistema di diversi servizi. “I percorsi andrebbero costruiti a partire da esigenze singole e integrati con i nuovi strumenti tecnologici, utili alle disabilità anche cognitive”.
Pensiamo alla domotica. Il caso delle Marche offre un esempio significativo per inquadrare la situazione da una angolatura mediana, come è nelle caratteristiche di questa regione del Centro Italia, laboratorio da sempre di sperimentazioni virtuose così come per certi aspetti ancora più statica. Qui l’Agenzia per la vita indipendente è frutto del lavoro dell’Associazione vita indipendente, un’aps nata nel 2019 che oggi conta 180 soci e un consiglio direttivo.
*Di Marco Benedettelli