ROMA - Articolo di approfondimento pubblicato su Welforum.it il 28 settembre 2023
In questo contributo si dà conto di un nuovo capitolo di un contenzioso amministrativo che vede opposti un comune laziale e una associazione di promozione sociale (Aps) relativamente al convenzionamento per la gestione di un centro anziani ai sensi dell’art. 56 del codice del Terzo settore. Dopo un primo passaggio presso il Tar Lazio, di cui si era parlato nell’articolo a questo link, la questione è stata portata innanzi al Consiglio di Stato che, ribaltando le indicazioni della prima sentenza, ha evidenziato la necessità di un minore formalismo e di una maggiore attenzione alla sostanza.
Ma andiamo con ordine.
Seguendo l’invito di una deliberazione della Giunta regionale, il comune in questione aveva deciso di gestire un centro anziani attraverso il convenzionamento ai sensi dell’art. 56 del codice del Terzo settore con Aps aventi tale attività come esclusiva o prevalente nel proprio statuto. Accanto all’Aps con cui il comune in questione si era poi convenzionato, ve ne era un’altra intenzionata a proporsi per la medesima attività, ma che, pur avendo inviato lo statuto e altra documentazione, a causa delle restrizioni imposte dal covid, aveva consegnato la residua documentazione oltre il tempo utile, aspetto ritenuto dal Tar Lazio dirimente al fine di escludere l’associazione ricorrente.
Nei giorni scorsi, il Consiglio di Stato (sentenza del 29 agosto 2023, n. 8025) ha invece accolto l’appello presentato dall’Aps esclusa. Vediamone le motivazioni, che rivestono un interesse specifico per quanto attiene ai rapporti che si instaurano tra enti pubblici ed enti del Terzo settore (Ets), al di là del merito del caso considerato.
Un primo aspetto riguarda la motivazione che deve sorreggere la decisione della pubblica amministrazione. Va motivata, a monte, la scelta dello strumento convenzionale in luogo di quello concorsuale competitivo in termini di convenienza, argomentando i motivi per cui la convenzione è maggiormente adeguata a conseguire le finalità di interesse generale e gli obiettivi di solidarietà rispetto alle procedure di gara. Quindi, si sarebbe dovuto motivare, nel caso in questione, la scelta di assegnare la gestione del centro anziani ad un’associazione anziché all’altra. L’adeguata motivazione rappresenta quindi l’elemento di necessaria garanzia di trasparenza sia nei confronti degli Ets chiamati a collaborare con la pubblica amministrazione, sia nei confronti di tutti gli altri soggetti giuridici, ivi compresi quelli economici, che possono dunque conoscere il fondamento dell’orientamento assunto dall’ente pubblico, così da garantire anche la giustiziabilità delle scelte operate dalla pubblica amministrazione.
In quest’ottica, prosegue il Consiglio di Stato, anche l’invio tardivo della documentazione (nello specifico, la pec e il codice fiscale, la cui pratica era appunto ritardata a causa del covid), sulla cui base il comune ha dichiarato di avere fondato l’esclusione, doveva essere espressamente indicato quale conditio sine qua non per la partecipazione stessa. E ciò – ritengono i giudici del Consiglio di Stato – a fortiori in presenza delle giustificazioni rese dall’associazione esclusa, che non sono dipese da volontà di quest’ultima, ma da circostanze esogene ed eccezionali. Se poi, come hanno fatto correttamente notare i giudici del Consiglio di Stato, alla pec e al numero di codice fiscale si intende attribuire un’importanza superiore rispetto allo statuto associativo (che era, nel caso di specie, nella disponibilità del comune), si comprende come l’indicazione precisa e inequivocabile dei documenti da presentare pena l’esclusione acquista una valenza dirimente.
Ma, a parere del Consiglio di Stato, le mancanze nell’operato del comune interessano anche la “mancata predeterminazione dei criteri di valutazione e scelta del soggetto affidatario della gestione”, rispetto a cui vengono ritenuti insufficienti i richiami “a vaghi principi quali quello di dare la priorità alle domande pervenute”. Un siffatto criterio risulta arbitrario ed irragionevole.
Ad avviso di chi scrive, la sentenza mette in luce un altro profilo, di indubbio interesse nei rapporti tra cittadini organizzati e pubbliche amministrazioni. Tra le ragioni che hanno spinto il comune ad escludere l’associazione ricorrente rientrava anche il fatto che la candidatura dell’associazione risultava priva “oltre che della documentazione prevista dalle linee guida regionali, anche di comprovata esperienza nella gestione di un centro anziani nonché di proposte di progettualità”. Sebbene le Linee guida regionali si propongano di evitare che si creino situazioni di potenziale concorrenzialità nell’affidamento dei centri anziani alle Aps, non è certo l’assenza “forzata” di competitor che contribuisce a realizzare la finalità regionale. Al riguardo, è utile ricordare che l’art. 56 del codice del Terzo settore prevede una “valutazione comparativa” tra le Aps (e le organizzazioni di volontariato), ovviamente se esistenti, al fine di individuare quella con la quale la pubblica amministrazione possa stipulare la relativa convenzione. I criteri e i parametri di selezione dei soggetti convenzionandi, nonché le clausole da versare all’interno delle convenzioni possono, prima facie, far ritenere le convenzioni ex art. 56 assimilabili ad un affidamento (diretto) di servizi disciplinato dal codice dei contratti pubblici.
Dell’affidamento diretto, la convenzione, infatti, richiama – inter alia – la necessità di rispettare gli obblighi di servizio, l’indicazione della durata del rapporto giuridico, la disciplina dei rapporti finanziari, le forme di verifica delle prestazioni erogate e il controllo della loro qualità, nonché la verifica dei reciproci adempimenti. Dall’affidamento di un servizio, tuttavia, la convenzione si differenzia per un elemento fondante e discriminante, segnatamente, l’assenza di onerosità del rapporto giuridico, per il quale l’ente pubblico può riconoscere all’associazione di volontariato o di promozione sociale soltanto il rimborso delle spese. Si tratta di una previsione che trova la propria ratio iuris nella qualificazione giuridica delle organizzazioni di volontariato e di promozione sociale che, fondando il proprio operato esclusivamente o, comunque, in via prevalente sull’apporto dei volontari, che per sua stessa natura è gratuita e senza scopo di lucro, esclude, almeno in linea teorica, qualsiasi riconducibilità ad attività di carattere economico-imprenditoriale.
È di tutta evidenza che la valutazione comparativa cui sono chiamate le pubbliche amministrazioni deve fondarsi su criteri oggettivi e parametri ben definiti e pregnanti rispetto al compito da svolgere, atteso che le associazioni ammesse al convenzionamento devono assicurare l’organizzazione, la gestione e l’erogazione di interventi, prestazioni, attività e servizi caratterizzati da continuità, affidabilità, serietà e qualità.
In quest’ottica, dunque, i giudici di Palazzo Spada hanno voluto rimarcare l’essenzialità per gli enti locali di procedere alla comparazione qualitativa delle manifestazioni di interesse, previa fissazione di obiettivi criteri di valutazione, secondo i principi dell’evidenza pubblica.
A questo proposito, si ricorda – forse contribuendo, anche in questa sede, a sfatare alcune falsità riguardanti gli istituti giuridici di cui al codice del Terzo settore – che l’evidenza pubblica – e in principi di non discriminazione, parità di trattamento, ecc. – non riguarda solo gli appalti, ma deve presidiare tutte le valutazioni, scelte e decisioni delle pubbliche amministrazioni.
Concorrenzialità e collaborazione sono termini che definiscono, rispettivamente, l’ambito delle procedure ad evidenza pubblica competitive e gli istituti giuridici di cui al codice del Terzo settore. Una certa interpretazione “pauperistica” delle procedure potrebbe far ritenere che la collaborazione possa prescindere dal rispetto dei principi che la Costituzione e le leggi ordinarie prevedono a presidio dell’azione amministrativa. Al contrario, gli istituti giuridici cooperativi individuati nel dlgs n. 117/2017 (codice del Terzo settore) costituiscono la garanzia che i procedimenti, ancorché non caratterizzati dalla presenza di soggetti privati che competono per l’affidamento di un servizio remunerato, si svolgano nel rispetto dei principi di imparzialità, buon andamento della pubblica amministrazione e trasparenza, cui si potrebbe aggiungere anche quello della semplificazione.
E ciò in funzione dell’obiettivo costituito dall’“amministrazione per risultati” (o “legalità di risultato”), quale “modello di azione pubblica rilevante nella sua unità teleologica, in contrapposizione all’amministrazione “per atti”, scissa in una seria di atti puntuali ed episodici” (così come definito da Simeoli “Appunti sul principio di legalità amministrativa” sulla rivista Questione Giustizia, 4/2016). In altre parole, un’amministrazione in cui gli aspetti sostanziali prevalgono in ultima analisi su quelli formali. L’“amministrazione per risultati” permette altresì di identificare la pubblica amministrazione quale “parte” di un accordo, posta su un piano paritetico con il soggetto privato e, conseguentemente, pienamente parificata a quest’ultimo nella fase dell’evidenza pubblica: “deve, pertanto, ritenersi che la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione possa configurarsi anche prima dell’aggiudicazione e possa derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai più volte richiamati doveri di correttezza e buona fede” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 4 maggio 2018, n. 5).
I principi sopra brevemente richiamati costituiscono una importante garanzia anche per l’azione degli enti non lucrativi, poiché essi possono fondare la loro partecipazione e il loro coinvolgimento sul fatto che gli organi della pubblica amministrazione avviino percorsi effettivamente definiti da continuità, impegno, allocazione di risorse e, quindi, sostegno alla realizzazione dei progetti e delle attività di interesse generale oggetto dell’accordo.
In termini conclusivi, si può dunque affermare che, le convenzioni ex art. 56 del codice del Terzo settore esprimono un chiaro favor nei confronti del ruolo delle organizzazioni di volontariato e di promozione sociale nello svolgimento di servizi sociali di interesse generale. Questo richiede al tempo stesso che la pubblica amministrazione esprima un percorso amministrativo che rende trasparenti presupposti e motivazioni che hanno portato a ricorrervi e che il tutto appaia motivato su criteri sostanziali di perseguimento dell’interesse pubblico.
* di Alceste Santuari