ANCONA - Oggi vogliamo raccontarti cosa significa per le persone con disabilità che frequentavano i nostri Centri Diurni, e lo facciamo attraverso questo accorato scritto della nostra Vicepresidente Giorgia Sordoni.
107 giorni, 10 ore, 39 minuti…
Questo è il tempo trascorso sino ad oggi da quando i Centri Diurni sono stati chiusi.
Sono tanti, tantissimi giorni.
E ad oggi ancora sembra che l’apertura sia lontana.
Le famiglie sono allo stremo.
Il carico che sopportano è sempre più grande e faticoso.
Telefonano piangendo, chiedendo aiuto nella speranza che il Centro Diurno possa riaprire, incredule rispetto al fatto che tutti gli esercizi commerciali e le attività siano state riaperte tranne il “LORO CENTRO”.
I loro figli sono in grossa sofferenza, chi è più nervoso, chi si agita, chi dorme tutto il giorno, chi non ha più voglia di fare nulla.
Avere una disabilità complessa, vuol dire anche avere sempre bisogno di qualcuno che mi stimoli, che mi faccia capire che crede in me e nelle mie capacità. È un meccanismo automatico. Irreversibile.
Senza dimenticare l’importanza delle relazioni.
Il Centro Diurno non era solo un posto dove imparare a “fare delle cose”, ma prima di tutto era un luogo dove essere PERSONE assieme agli altri, ai compagni, agli Educatori, agli OSS, ai Volontari.
Oggi tutto questo sembra tanto lontano.
Abbiamo tanta paura che quando riapriremo sarà tutto più complicato, si dovrà ricominciare daccapo…con la grande incertezza delle difficoltà effettive delle persone, degli strumenti necessari, delle adeguate coperture economiche.
Riavviare un Centro Diurno, supportarlo, accompagnarlo con ogni mezzo, non migliora probabilmente il RILANCIO dell’economia di un Paese, ma sicuramente migliora il nostro RILANCIO come PERSONE, come cittadini.
Con la convinzione che solo partendo dai più fragili si potrà, dopo questo virus, ripartire con una società più CIVILE.